La controversia e la nuova versione
Spesso si è letto che, a causa dell'inadempienza contrattuale legata al soggetto, la Confraternita contestò il dipinto considerandolo incompiuto, o addirittura inadatto poiché eretico. Studi più precisi, basati sui documenti d'archivio relativi alla controversia legale che oppose gli artisti ai committenti, hanno permesso di delineare una vicenda diversa.
In una supplica al Duca di Milano, databile tra il 1493 e il 1494, Leonardo da Vinci e Ambrogio de Predis (Evangelista era nel frattempo morto alla fine del 1490 o all'inizio del 1491) richiedevano che l'opera dovesse essere pagata più della cifra pattuita inizialmente (200 ducati) in quanto la realizzazione, soprattutto a causa della complessa ancona dorata e intagliata, sarebbe stata molto più laboriosa e dispendiosa. Gli artisti dunque chiedevano un conguaglio di 100 ducati per il dipinto centrale, ma se ne videro offrire solo 25. Proposero allora che venissero nominati degli "esperti dell'Arte" che giudicassero il lavoro oppure che i committenti «lasano ali dicti exponenti dicta nostra dona fata a olio» per la quale hanno già ricevuto diverse offerte di cento ducati «da persone quale hanno voluto comprare dicta Nostra Dona».
Questo ha fatto supporre ad alcuni che la prima versione della Vergine delle Rocce fosse già stata posta in opera ma che gli autori ne stessero chiedendo la restituzione, mentre altri hanno sostenuto che l'opera non sia mai arrivata alla cappella dell'Immacolata, ma si trovasse ancora nello studio degli artisti. In particolare Marani sostiene senza mezzi termini che «i pittori stanno tentando di ricattare i confratelli, chiedendo una maggiorazione del compenso, salvo appunto trattenere presso lo studio il dipinto». La diatriba tra Leonardo e la Confraternita si trascinò così per molti anni e fu chiusa nel 1506 da una sentenza con cui l'opera venne dichiarata ufficialmente "incompiuta". Leonardo era tenuto a portarla a termine entro due anni, ma gli venne riconosciuto un conguaglio di 200 lire (corrispondenti a 50 ducati, la metà di quanto aveva inizialmente richiesto).
Nel frattempo Leonardo aveva abbandonato Milano, era tornato a Firenze ed aveva visitato numerose città. La seconda versione della pala, che mitiga alcuni aspetti più rivoluzionari dell'opera, doveva essere già avviata prima della partenza di Leonardo (1499), venendo poi completata in occasione del suo secondo soggiorno milanese, nel 1506. Nella seconda versione la Madonna appare più grande e maestosa, i due bambini sono più riconoscibili e soprattutto è sparito l'inconsueto gesto della mano dell'angelo, che nella prima versione indicava Giovanni, e il suo sguardo diretto allo spettatore. I classici attributi della iconografia tradizionale, come le aureole e il bastone con la croce del Battista, sarebbero stati aggiunti molti anni più tardi, probabilmente nei primi decenni del XVII secolo.
Secondo un'ipotesi recente le due versioni della Vergine delle Rocce sarebbero state realizzate per due diversi luoghi e committenti nella stessa città di Milano: la prima per la cappella palatina della chiesa di San Gottardo in Corte, e la seconda per la cappella dell'Immacolata nella chiesa di San Francesco Grande.
Vicende successive
Dettaglio botanico
La versione londinese si trovava sicuramente a San Francesco poco prima che la chiesa venisse demolita nel 1576; trasportata nella sede della confraternita, vi rimase fino alla soppressione del 1785, quando venne venduta al pittore inglese Gavin Hamilton che la portò in Inghilterra.
Il destino della prima versione, quella parigina, è più incerto e nessuna delle diverse ipotesi sull'arrivo dell'opera in Francia ha ancora trovato una conferma documentale. Nell'ipotesi più accreditata, durante la lunga disputa legale che vide contrapposti Leonardo e Ambrogio de Predis alla Confraternita dell'Immacolata, la prima versione sarebbe stata venduta a qualcuno che aveva fatto generose offerte d'acquisto, forse lo stesso duca Ludovico il Moro che l'avrebbe esposta nella cappella del palazzo ducale, e sarebbe poi caduta nelle mani dei francesi assieme a tutte le sue proprietà.
Altri studiosi sostengono che la pala oggi al Louvre sarebbe identificabile con la Maestà inviata in dono da Ludovico il Moro a Massimiliano d'Asburgo in occasione delle nozze dell'imperatore con Bianca Maria Sforza (1493), e il passaggio in Francia sarebbe avvenuto molti anni più tardi, in occasione di altre nozze, quelle di Eleonora, nipote di Massimiliano, con Francesco I di Francia.
In ogni caso la prima documentata presenza del dipinto nelle collezioni francesi risale al 1625, quando Cassiano dal Pozzo, che aveva accompagnato il cardinal Barberini nella sua legazione in Francia, la vide a Fontainebleau nella galleria delle pitture. Il dipinto si trovava poi nel catalogo del Musée Royal nel 1830 e ai primi del XIX secolo venne effettuato il trasporto su tela dal restauratore François Toussaint Hacquin, secondo pratica allora molto frequente.
Dal punto di vista dell'influenza su altri lavori, la fortuna di questa composizione fu enorme: si conoscono infatti innumerevoli copie create da artisti italiani e stranieri. In particolare, un dipinto ospitato nella chiesa di Santa Giustina ad Affori (Milano) è stato probabilmente eseguito da Ambrogio de Predis negli stessi anni in cui i due collaboravano per la realizzazione del celebre dipinto. Una altra copia, attribuita al Melzi, si trova attualmente presso il convento delle suore Orsoline di via Lanzone a Milano.
Tra le tante derivazioni del tema va segnalata anche la cosiddetta "terza versione" del quadro (versione Cheramy), custodita in una collezione privata in Svizzera e da alcuni (tra cui Carlo Pedretti) attribuita alla mano dello stesso Leonardo.