- Rinascimento: igiene personale


L'igiene della persona ha da sempre avuto un risvolto controverso nelle diverse civiltà che si sono succedute nella storia dell'umanità, per talune ritenuta importante a tal punto da creare delle regole sociali ferree per la buona convivenza sociale, per altre invece, una forma di comportamento semplicemente consigliato.

In alcune occasioni erano "i luoghi" che dovevano essere il cento della pulizia e che quindi dovevano riflettere, per somma conseguenza, quello delle persone che li frequentavano: avere strade e piazze pulite rappresentava un disegno globale di attenzione verso il bene comune e pazienza se poi le persone poco curavano se stesse o, addirittura, venivano persuase dal farlo.   

330 a.C., la carta della costituzione di Atene

La Costituzione degli Ateniesi (nella lingua greca antica Ἀθηναίων πολιτεία, Athênáiôn politéia), è un testo scritto da Aristotele insieme ai propri allievi tra il 329 e il 322 a.C e descrive dettagliatamente il modello della vita politica e sociale, gli usi e le consuetudini della popolazione di Atene.

Tra le curiosità che lo stesso Aristotele indica nel suo trattato, vi è l'idea della creazione di un “ufficio delegato centrale, una specie di "assessorato alla pulizia" che ha il compito di gestire e selezionare tutti i rifiuti solidi e liquidi prodotti dalla città e trovare le soluzioni migliori per lo smaltimento che doveva effettuarsi lontano dalla città, in zone non facilmente raggiungibili e possibilmente che evitassero olezzi portati dal vento.  

Affermava Aristotele che «Alcuni lavori sono più nobili, ma altri sono più che necessari», ben sapendo il duro e poco nobile lavoro svolti dai "coprologi", molto spesso schiavi incaricati della raccolta e del trasporto dei rifiuti.

Secondo quanto descrive Aristotele, il problema dell'igiene è un fattore di primaria importanza in quanto, aveva ben capito da subito, la pulizia trascurata o l'abbandono dei residui di fluidi, poteva comportare oltre che il disagio anche infezioni e malattie dal potenziale esito catastrofico. 

79 d. C. L'impero romano

Già nella cultura dell'impero Romano l'idea dell'igiene della persona era tenuta in grande considerazione in quanto ritenuta elemento di decoro personale di ogni cittadino, indipendentemente dalla sua origine o appartenenza sociale. La vita sociale romana quindi si basava sull'indispensabilità della cura della persona che riteneva obbligatoria questa pratica ai fini di avere una corretta vita sociale che potesse evitare la diffusione di odori non gradevoli tra le persone. La cultura dell'acqua e il suo quotidiano utilizzo, diventa quindi elemento caratterizzante di una buona socialità, grazie al fatto che in ogni parte dell'impero, dal nord Africa alle terre nordiche fino alle regioni del medio-oriente, la civiltà romana aveva imposto il proprio modello culturale attraverso la costruzione di acquedotti che portavano l'acqua in ogni villaggio precedentemente conquistato.

Le terme, anch'esse presenti in grandi quantità, fungevano da perno sociale, in quanto al loro interno, le persone oltre che ad occuparsi della propria igiene, avevano modo di sviluppare rappoorti e spesso, concludere addirittura i propri affari. 

La città di Roma, con oltre 1 milione di abitanti, garantiva ai propri cittadini attraverso un articolato sistema di distribuzione dell'acqua, un approvvigionamento costante e si è calcolato, ma solo per difetto, che la capacità distributiva dell'acqua nelle case e nei luoghi di produzione, come ad esempio le botteghe, le ferriere (dove veniva prodotta la lavorazione dei metalli e del ferro che necessitava ingenti quantità d'acqua), raggiungeva quasi un miliardo di litri al giorno, acqua che scorreva ininterrottamente, con la conseguente necessità di creare enormi invasi cittadini sotto le abitazioni e i palazzi per raccogliere quella piovana che non doveva andare dispersa. 
A Roma erano presenti anche i "mercatari", coloro che avevano il compito passando tutte le mattine per le case, di raccogliere in ampie anfore in terracotta e grandi vasi in ceramica colme di urina della notte. Erano carretti con un cavallo solo e spesso preannunciavano il loro arrivo con una specie di campana posta sul piccolo sedile del carretto. Le persone ritardatarie che non avevano predisposto i propri vasi all'esterno dell'abitazione, dovevano provvedere velocemente al fine di non rischiare di trovarsela non raccolta. Tutta questa urina raccolta, veniva filtrata con dei panni per raccogliere eventuali "impurità, e poi ricaricata sul proprio carretto e consegnata ai "fulloni, lavoratori che conciavano le pelli per lavorarle, che nell'urina avevano una abbondanza di ammoniaca, elemento col quale si ammorbidiva e si schiariva la pelle animale da conciare. 

Schiava romana nell'intento di sistemare i capelli alla propria matrona

Per le strade si potevano notare grandi contenitori aperti, molto simili ad anfore, che emergevano quasi a filo del terreno e servivano ai viandanti per fermarsi ed urinarvi all'interno. 

Questa pratica era molto comune e addirittura resa obbligatoria, (ad Ercolano e a Pompei si trova inciso in latino nelle lastre di marmo e tufo, l'ordine di non sporcare il terreno e di urinare all'interno dei vasari, pena una forte ammenda).

L'imperatore Vespasiano che era molto attento al decoro delle persone ma soprattutto al decoro della città, aveva consiglieri con il compito di infiltrati tra la gente a spasso per la città e vedere chi utilizzava le anfore per urinare e chi ne faceva a meno. Si rende ben presto conto che "la catena di profitto" di chi raccoglie l'urina, chi la lavora, chi la utilizza per gli sbiancamenti, fa salire notevolmente il prezzo delle pelli conciate che diventano ben presto tra i beni che pochi potevano permettersi e decide quindi di istituire una tassa sull'urina, tassa che dovrà riguardare tutto l'impero romano. 

Le concerie si trovano ben presto a subire questo "nuovo balzello" e ritengono questa tassa del tutto inutile, in quanto loro trattano un "prodotto di scarto" che altrimenti andrebbe ad inquinare la città e renderla maleodorante. 

La risposta che ricevettero fu inequivocabile: "pecunia non olet" (i soldi non puzzano).

La grande attenzione quindi dei romani verso l'igiene è apprezzabile, ma anche per l'impero comincia un grigio periodo di decadenza, dove queste abitudini iniziano a sgretolarsi come la sua grande saggezza.


Epidemia dall'Asia all'Europa

Sembra partir tutto dall'Asia centrale area dove una moria improvvisa di animali, dovuta molto probabilmente ai rigidi inverni, fa si che anche migliaia di roditori della specie di ratto asiatico nero e topi comuni iniziano una lenta agonia che li porterà alla morte. Tutti i cadaveri dei topi, oramai in decomposizione, producono il bacillo della peste, e le pulci presenti, trasportano il contagio sia agli animali sani e moribondi che all'uomo.

1347 -1352, la grande Peste nera in Europa

Si ha notizia che dall'Asia caucasica la peste si diffonde attraverso i viaggiatori e mercanti che dall'Oriente si spostano verso i territori dell'est Europa producendo in modo involontario un vero e proprio contagio dalle proporzioni gigantesche a tal punto che colpisce circa 25 milioni di persone su una popolazione totale di quasi 80 milioni.


L’assedio di Caffa 

Il contagio fu veicolato tramite i malati di una delle armate tartare che portarono l’assedio alla colonia genovese. I cadaveri di appestati furono lanciati oltre le mura di Caffa dai balestrieri tartari, spargendo così l’epidemia tra gli assediati. In alternativa è possibile che il contagio sia avvenuto passivamente, in quanto i ratti infettati potrebbero essere entrati, in città, passando sotto le porte.

Quando Caffa capitolò, con gli ultimi assediati in fuga, sulle navi che salpavano verso Bisanzio, Genova, Venezia e Marsiglia, partirono gli appestati ed i topi, veicoli del contagio. Esplodeva così l’epidemia che portò al dimezzamento della popolazione europea nel volgere di pochi decenni. 

Forse più che di un’unica epidemia si dovrebbe parlare di ondate epidemiche che si succedettero a distanza di pochi anni l’una dall’altra.  La prima ondata colpì prevalentemente gli adulti ed in particolare gli uomini in età produttiva.

 La seconda falcidiò invece specialmente i bambini compromettendo in tal modo il futuro demografico. Stime effettuate da vari studiosi ipotizzano che la popolazione francese fosse, intorno al 1330, di circa 17 milioni; nel momento più basso di riduzione della popolazione (1440-1470) si ritiene che non oltrepassasse i 10 milioni (-42%). 

Nelle cittadine medioevali quindi è uno scatenarsi e rincorrersi di migliaia di topi che corrono nelle fogne a cielo aperto, impregnandosi di liquami e rifiuti abbandonati, entrando e uscendo dalle case e salendo nei granai, intaccando le riserve delle cantine, defecando e urinando dappertutto, creando cosi una condizione di assoluta pericolosità che, ogni giorno e ogni notte, trasportano da paese a paese, città a città per diffonderla cosi rapidamente da trovare la popolazione impreparata.  

Le comunicazioni tardano ad arrivare nei paesi per avvisare della pestilenza e quando le informazioni giungono attraverso uomini a cavallo, molto spesso è già tardi. 


1885, documentazione storica 

L’archeologo russo Chwolson, scavando nei pressi del lago Issyk-Koul, aest del Kirghizistan, porta alla luce  vecchio cimitero nestorian furono individuate tre pietre tombali ove epigrafi descrivono la fine dei morti, tutti deceduti a causa della peste tra l'anno 1338 e il 1339. 

La peste arriva in Italia

Anche in Italia si hanno le prime tracce dall'arrivo della peste in diversi territori a partire da alcuni piccoli borghi della sicilia, Genova, sino a spingersi nella Lombardia, Veneto, Emilia e Romagna, il Lazio.
Le morìe delle genti iniziano ad essere migliaia e non vi è città italiana che scongiuri il contagio.
Capita spesso, recandosi nelle città come Firenze, Genova, Rimini, Lucca, che si possano vedere, all'esterno delle mura di cinta, colonne di fumo nero che si innalzano verso il cielo: quello è il segno che stanno bruciando pile di cadaveri per evitare la diffusione della peste.

Effetti della peste
Accusare forti vertigini e stati di allucinazione frequenti, forti dolori di stomaco con diarree e dolori renali, erano i sintomi più diffusi che facevano pensare che oramai la peste aveva colpito i poveri malcapitati.
Il volto, giorno dopo giorno cominciava a far emergere gli spigoli degli zigomi e le fosse scavate delle orbite oculari, con l'aggiunta di colpi di tosse forti e continui che rilasciavano piccole goccioline di saliva che rilasciata nell'aria, facevano da veicolo del virus, diventando facilmente trasmissibili dagli altri attraverso la normale respirazione dal naso e dalla bocca, insediandosi negli alveoli polmonari, provocando una lenta e progressiva asfissia meccanica (costrizione dei polmoni) che portava alla morte nel giro di 3-5 giorni.  


1347

La notizia della peste impone alle signorie e alle grandi corti presenti nelle città che governavano grandi territori, di creare immediatamente dei controlli sulle genti in transito e soprattutto provenienti dall'Oriente ma anche verificare gli spostamenti interni dei cittadini verso altre regioni, al fine di evitare che il contagio della peste, detto anche contagio pandemico in quanto poteva riguardare una gran fetta della popolazione, fosse il più possibile contenuto. 

A tale riguardo vengono emessi dai governi i decreti che imposero alle barche in arrivo in ogni porto, di essere ispezionate nel loro carico (spesso carichi di cereali, frutti, farine, legnami) e di verificare lo stato di salute dell'equipaggio che in caso di contagio in essere, veniva fatto allontanare dal porto sulla stessa imbarcazione, scortata da piccole barche che controllavano e scortavano la sua rotta, sino all'allontanamento dal porto.  

In concomitanza ai decreti, vengono emanate nuove condizioni per circoscrivere il rischio pandemico, come ad esempio l'istituzione del "periodo di contumacia" detto anche «une quarantaine de jours, ovvero un periodo di isolamento forzato di quasi due mesi, ai quali erano sottoposti i sospettati di aver contratto la peste. In realtà nel caso in cui il sospetto diventava certezza e che il contagiato era classificato come appestato, c'era poco da fare: si lasciava morire in un luogo isolato forti sofferenze e costanti stati febbrili che debilitavano sia lo spirito che il corpo, a tal punto di condurlo alla morte per disidratrazione. 


1348

Milano è governata da Luchino Visconti, signore e vicario imperiale, figlio di Matteo Visconti.

In questo periodo la città gode di un buon sistema sanitario e uno di questi esempi è l'ospedale della Cà granda, oggi chiamato Niguarda, che accentrava a sè l'elite della medicina del periodo, grazie anche all'apertura del mondo ecclesiastico che appoggiava economicamente la sperimentazione e la ricerca, anche se in modo piuttosto blando. 

Luchino Visconti, oramai a conoscenza che in Italia si stava velocemente diffondendo il virus pestilenziale, decide di prendere la situazione di petto e chiama a sè i migliori medici presenti nella città chiedendo a loro urgenti consigli per arginare l'ingresso della peste a Milano, ma nessuna soluzione concreta sembra venga trovata.

Poco dopo viene informato che la peste è entrata in città ma si tratta solo di pochi casi: per l'esattezza 3 casi.

Individuate le case dove si afferma vi siano malati di peste, Visconti da l'ordine di "murare vivi"al loro interno i malati, evitando loro qualsiasi contatto con l'esterno, condannandoli a morte certa.

Vi furono diverse critiche da parte dei familiari e di molte persone che spaventate da un possibile contagio, avrebbero già dovuto combattere con un probabile contagio ma, peggio ancora, affrontare una triste aspettativa: quella di essere lasciati soli nelle sofferenze. 

1483, 25 aprile - Leonardo a Milano

La presenza a Milano risale all'anno precedente ma è documentata con certezza attraverso il contratto sottoscritto in questa data, contratto relativo alla prima vera commissione ricevuta per il dipinto della pala d'altare della chiesa di San Francesco Grande dai confratelli dell'Immacolata Concezione di Maria di Milano. 

L'opera non viene conclusa da Leonardo in quest'anno, ma successivamente. Quest'opera la conosciamo oggi come "la vergine delle rocce". 


1486, la pestilenza a Milano
Passa molto tempo da quel lontano 1348, quasi un secolo e finalmente il grande spavento della peste sembra passato. Non è cosi, purtroppo!

Nel mese di gennaio è in atto quella che si considera una vera tragedia non solo per la città di Milano, ma per tutta la Lombardia: il ritorno della pestilenza.

La popolazione è sconvolta e si dice negli ultimi tre mesi, siano già morte oltre 50.000 persone, la metà dell’intera popolazione cittadina, ma anche nei territori della signoria quali Como, Lodi, Pavia e Cremona, qualche mese prima, ci sono stati migliaia di morti. Dopo diversi consulti tra Ludovico e la sua corte, viene promulgato l’ordine di comportamento attraverso bandi ducali pubblicati in ogni angolo delle città, soprattutto alle porte di ingresso, che avvisano la popolazione su alcuni comportamenti da tenere e i possibili rischi.

Nelle città appaiono per strada agli apparitori, uomini che hanno il compito, con il suono di un campanello e del loro bastone bianco agitato verso l’alto, di fare strada ai carri con gli appestati, avvisando cosi le persone di spostarsi di chiudersi nei porticati delle case.

Ci sono colonne di carri stracolmi di cadaveri, coperti in qualche modo, che al sobbalzo delle buche, lasciano cadere il braccio o la gamba quasi a toccar terra.

Ci sono madri disperate che piangono i propri figli coricati per terra e coperti da lenzuola scure, padri e vecchi che lamentosi e febbricitanti vengono soccorsi dai più coraggiosi. Leonardo porta con se una piccola borraccia con l’acqua da sorseggiare, perché bere l’acqua a Milano e non morire di peste è impossibile.

In molti angoli della città si scorgono enormi falò improvvisati, dove bruciano i corpi senza vita di chi è stato colpito dalla peste e il fumo nero si alza verso il cielo che è diventato buio, scuro e tenebroso a tal punto che durante il giorno è difficile scorgere il sole.

E’ stato dato ordine dal Ducato di chiudere immediatamente i bagni pubblici, nel tentativo di limitare il diffondersi di questi terribili contagi, ma anche i bordelli diventati più o meno la stessa cosa, unendo così i motivi di ordine igienico a quelli di ordine morale e sociale.

Muore a Milano il miniatore sordomuto Cristoforo de Predis, grande amico di Leonardo.

Ludovico il Moro fa costruire presso Vigevano l'azienda agricola autonoma chiamata "La Sforzesca" per la coltivazione di gelsi e l'allevamento dei bachi da seta, dove Leonardo è spesso chiamato a portare il suo contribito per gli studi di idraulica e meccanica.


1494 - Leonardo da Vinci a Milano

Leonardo si trova a Milano per la seconda volta, in quanto a Firenze proprio in quest'anno ha preso forma un nuovo governo di tipo repubblicano. I membri della famiglia dè Medici vengono allontanati dalla città. E' molto probabile che Leonardo abbia visto coi propri occhi il terrore prodotto dalla peste, in quanto in questo periodo si trova a Milano, alla corte di Ludovico il Moro, Duca della città. Si trova a Milano perchè in quest'anno riprende e termina il dipinto lasciato precedentemente incompiuto: "la Vergine delle rocce". 


1495

Leonardo da Vinci dipinge il Cenacolo in S. Maria delle Grazie. L'opera sarà terminata tra il 1497 e 1498.


1498
La documentazione in possesso dell'archivio di Stato composta da alcune lettere, ci informa che Leonardo ha eseguito il ritratto di Cecilia Gallerani, quella che è identificata con buone probabilità come la Dama con l'ermellino).


1499 - Leonardo lascia definitivamente Milano

Da questo momento Leonardo viaggia nel nord dell'italia: dapprima a Mantova da Isabella d'Este, poi a Venezia, Rimini da Cesare Borgia, Senigallia, Pesaro, Terni per poi recarsi a Firenze.

Questo episodio è legato ad un altro accaduto in precedenza, dove Leonardo, invitato in alcune cerimonie di palazzo e presentato alla borghesia milanese, durante il pranzo con i commensali, si è reso conto che nessuno utilizzava qualcosa per pulirsi la bocca e il mento dopo aver mangiato, ad esempio, delle carni arrostite con salse e miele, ma che in qualche modo, utilizzavano parte della tovaglia o si passavano, con discrezione, l'avambraccio per pulirsi la bocca. 

Questi episodi piuttosto frequenti, davano molto fastidio a Leonardo che fece notare al duca l'assoluta inadeguatezza dei suoi ospiti e la mancanza di contegno, a tal punto che a distanza di poco tempo, si presentò al duca e gli mostrò la sua idea per pulirsi mani e bocca: il tovagliolo. Fino ad allora sconosciuto, Leonardo crea un tessuto misto di canapa e cotone, decorato al centro con lo stemma ducale e ai bordi un ricamo fine. Da quel momento Ludovico il moro decide di utilizzarlo per ogni ricevimento a corte. 


I consigli dei medici

Leonardo molto probabilmente ha modo di parlare con i medici che fanno parte della stretta cerchia di Ludovico il moro che gli riferisce di aver incaricato alcuni medici di elaborare un manuale di buone maniere, che oltre a suggerire i comportamenti da tenere a corte, spiegano sulla necessità di tenere ben pulite le parti del corpo.
La cultura medica era ancora agli albori e la credenza popolare è dura a morire.
Sono in molti tra le gente a credere che le malattie sono guaribili con l'aiuto della provvidenza o con medicamenti fatti a base di erbe e per quanto riguarda l'igiene personale, le convinzioni che l'acqua possa essere "la mano del demonio", è da considerarsi del tutto normale.

Utilizzo dell'acqua calda

Ritengono che l’utilizzo dell’acqua calda, possa essere molto pericolosa, perché dilatando i pori della pelle, può consentire l’accesso di microbi e malattie.


L'acqua e il Rinascimento

Per quanto può sembrare strano, nel periodo del Rinascimento l'acqua non era ben vista come nella cultura romana, anzi la si considerava una portatrice sana di epidemia. Come è possibile? All'acqua si preferiva un altra soluzione, come ad esempio la pulitura a secco.

Un grosso cambiamento nelle abitudini igieniche avvenne nel XIV secolo, quando arrivò la peste nera e la sifilide in Europa; all'epoca si credeva che farsi il bagno fosse pericoloso perché il vapore dell’acqua calda, apriva i pori lasciando entrare tutte le malattie e permettendo la fuoriuscite degli umori, perciò, si sconsigliava vivamente di limitarne il numero e di eseguirli avendo le dovute precauzioni; questo ebbe diverse conseguenze: la chiusura di bagni, taverne e bordelli.

In un atto di igiene morale e sociale, si cercava di evitare le agglomerazioni di persone perché si pensava potesse favorire il propagarsi delle malattie; il rifiuto dell’acqua per l’igiene personale; lo sviluppo dei profumi che occultavano il cattivo odore e della cipria che nascondeva l’unto dei capelli, trasformandosi con il tempo nella moda delle parrucche; la pulizia, divenne più che mai prerogativa dei ricchi.

Si riteneva che l’acqua calda potesse provocare debolezza, cecità, idropisia, imbecillità e addirittura indurre aborti; questo spiega la diffidenza crescente nei suoi confronti e l’utilizzo dell’acqua fredda unicamente per sciacquare la bocca e lavare le mani.


La cultura Araba

Gli Arabi avevano da tempo inventato il sapone moderno a base di soda caustica e, nel tempo, hanno capito l'importanza della "cultura romana dell'acqua", facendola propria.

Si sconsiglia di usare acqua calda in quanto può essere molto pericolosa, perché dilatando i pori della pelle, può consentire l’accesso di microbi e malattie.

Una delle principali paure è quella per le donne di rimanere incinta lavandosi con acqua calda, in quanto il calore dell'acqua avrebbe consentito la proliferazione di eventuali spermatozoi, trovatisi nell’acqua non si sa bene come.

Utilizzo dell'acqua fredda

  • Consigliata solo per il lavaggio dei denti;
  • Consigliata anche per il lavaggio veloce delle mani e del viso in quanto esposti allo sguardo.

Pulizia dei capelli

  • Durante la presenza a tavola di non grattarsi;
  • In presenza di persone evitare di prendere dalle spalle, dal collo i pidocchi e schiacciarli davanti agli altri;
  • Pulirsi dai pidocchi solo quando ci si trova da soli;
  • Pulire i capelli con canapa profumata;
  • Per il lavaggio secco utilizzare talco di argilla colorata.

Camicie visibili

La camicia è l'orgoglio del Rinascimento e va portata in bella vista e non come nel medioevo che veniva nascosta sotto i vestiti. I benestanti potevano permettersi camicie di lino e di seta, mentre i meno abbienti utilizzavano nella maggior parte dei casi, solo camicie fatte di canapa e cordame battuto.

La camicia è un capo molto curato nei particolari e spesso si nota per i suoi lunghi polsini, quasi ad arrivare a metà dell'avambraccio, ampi colletti e ricami che esaltano il collo ornata da pizzi e trine, essa era messa ben in mostra tramite i polsini e il collo, con rifiniture sia sulle spalle che sulle maniche. 

Consigliano di utilizzare abbigliamento chiaro, possibilmente bianco, perché da l’impressione del candido e del pulito, del senza macchia.


Colletti e polsini

Buona parte della popolazione benestante possedeva diversi tipi di camicie con i colli e polsini che potevano essere staccabili dalla camicia stessa, ed era considerato un segno di identificazione della propria classe sociale. Questo tipo di capo d'abbigliamento divenne molto diffuso per la sua praticità, a dispetto delle camice del medioevo, perchè consentiva a chi le indossava, la possibilità di lavarli separatamente.

Mutande e sotto mutandoni

La biancheria intima che è a contatto diretto col corpo è considerata pericolosa in quanto il sudore mischiato alla polvere prodotta nel camminamento e del passare delle carrozze, poteva mischiarsi e creare un microclima adatto alla proliferazione di batteri, ma la teoria più accreditata del periodo vuole anche che l'eccessiva sudorazione porti alla minima decomposizione della pelle che, sudato, produceva anch'essa un ricettacolo di batteri. La soluzione consigliata era quella di cambiare molto spesso l'intimo. 


Alle mamme

Veniva suggerito di non lavare troppo spesso i loro bambini proprio per non indebolirli.
I medici consigliavano alle madri partorienti di non bere troppa acqua al fine di evitare problemi polmonari al futuro nascituro che avrebbe potuto "assorbire" nei suoi piccoli polmoni, l'eccesso di acqua bevuta dalla madre, causandogli cosi una "polmonaria" dalle gravi conseguenze per il cervello e per il suo sviluppo cognitivo.
Sconsigliavano alle mamme di evitare che i loro bambini, soprattutto in tenera età, potessero entrare in contatto frequentemente con l'acqua.


La biancheria intima

Però non era composta sola dalla camicia, c’erano anche le mutande, che durante il medioevo erano stati un capo unicamente maschile; nel 500, grazie alla moda di dare volume alle vesti, esse ebbero una certa diffusione. Le mutande femminili, secondo alcune fonti, sono state introdotte da Caterina dè Medici che le metteva per poter cavalcare proteggendo le sue parte intime e seguendo le regole del decoro. Certo, le mutande sono un capo in uso prevalentemente nelle classi superiori e si cambiavano molto meno della camicia.

Non bisogna dimenticare i grossi cambiamenti apportati dalla Riforma Protestante e dalla Controriforma, in questo caso, nei confronti del corpo, che diedero origine a nuove regole di comportamento sul pudore, la castità e la fedeltà coniugale.

Pulizia del viso

Frizionare il viso, senza presenza di sudore, con polvere di argilla finissima.


Consigli per il bagno

  • Fare il bagno, solo se strettamente necessario;
  • Fare il bagno e farlo solo se necessario e possibilmente solo una volta all’anno, meglio sarebbe tra maggio e giugno, in occasione dei matrimoni;
  • Prima del bagno è necessario purgarsi, in quanto si espellano impurità e vermi;
  • Subito dopo il bagno è consigliato riposo a letto che può durare anche qualche giorno.

Pulizia delle ascelle

  • Strofinare talco in grande quantità e ripetere spesso.


1511

Guido Postumo Silvestri, soldato, poeta, medico, nato a Pesaro nel 1479 e denominato Postumo,  in una lettera dalla Francia del 1511 inviata ad Isabella d’Este, scrisse che:


“Le donne qui sono un poco sporche cum un pochetto di rogna alle mane et cum qualche altra compositione de sporcitia”, mentre un certo Grossino, alla medesima sovrana, comunicò che “comunemente le donne francese sono molto belle ma hanno le man sporche e piene di rogna”


Non abbiamo motivo di dubitare che quella fosse davvero la realtà presentatasi sotto i loro occhi.

E’ tuttavia scontato che vi fossero attività più rischiose di altre per mancanza di pulizia e conseguente rischio di malattie, una situazione talmente normale che non ci si preoccupava neppure di nasconderla, come il barbiere e poeta fiorentino Domenico di Giovanni, detto Burchiello, che nella prima metà del ‘400, senza farsi alcun tipo di problema, scrisse: 


“Le pulci m’hanno tutto manicato [mangiato] e forse anche le cimici e i pidocchi”

Condizione dovuta, quasi certamente, al contatto continuo con barbe e capigliature sporche cui lo costringeva il proprio mestiere. 


Bibliografia:

  • Lawrence Wright, “Civiltà in bagno”, Garzanti, 1961, Italia.
  • Duby e Perrot, ” Storia delle donne, dal rinascimento all’età moderna”, Laterza Editori, 2002, Bari.
  • Aristotele, La costituzione degli Ateniesi, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 1999
  • Ippocrate di Coo, Corpus Hippocraticum, V-IV secolo a.C.Claude Orrieux, Pauline Schmitt Pantel, 
  • Storia greca, Il Mulino, Bologna 2004Michel Austin,
  • Pierre Vidal-Naquet, Economie e società nella Grecia antica, Boringhieri, Torino 1982
  • Pierre Lévêque, Il mondo Ellenico, Editori Riuniti, Roma 1980
  • Raffaella Sarti, “Vita di casa”, Laterza Editori, 2008, Bari.