Lorella Grossi descrive con queste parole il codice:
“Gian Battista Venturi, inviato nel 1797 dal duca di Modena a studiare i manoscritti vinciani che si trovano a Parigi, li contrassegnò con le lettere dell’alfabeto. Il manoscritto così chiamato L, comprende sei fascicoli di sedici carte ciascuno.
La numerazione delle carte va da 1 a 94, perché la prima carta è incollata all’interno della copertina e un’altra carta risulta mancante. La numerazione delle carte sembra dovuta a Francesco Melzi, allievo prediletto e erede testamentario di Leonardo.
La copertina di cartone turchino era originariamente rivestita da una carta oggi logorata. Il taccuino era già utilizzato da Leonardo a Milano prima di partire per la Romagna, ma la maggior parte delle note e degli appunti ha attinenza al viaggio compiuto al servizio di Cesare Borgia.
Si tratta di note e appunti brevi, con studi di balistica, schizzi di mura, fortificazioni, particolari architettonici relativi alle Marche, alla Romagna e a Piombino. Sono invece scarsi gli scritti di geometria, matematica, fisica, ottica e pittura. Le ragioni militari della missione di Leonardo in Romagna e i continui spostamenti, non lasciarono probabilmente spazio alla trattazione degli argomenti che contraddistinguono gran parte dei manoscritti leonardiani.
Costituiscono un’eccezione le pagine del taccuino dedicate al volo degli uccelli. La scrittura è quella propria di Leonardo, detta speculare perché può essere letta con l’ausilio di uno specchio.
Oltre a scrivere da destra a sinistra Leonardo, prendendo con rapidità appunti e disegnando in modo affrettato schizzi di riferimento, capovolge talvolta il taccuino, riempie le pagine di note diverse, scrive all’interno della copertina. Tuttavia l’ansia di annotare non toglie nulla al fascino del segno grafico di Leonardo”.