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Nacque a Venezia nel 1470 dall'antica famiglia patrizia dei Bembo, da Bernardo e da Elena Morosini.[1] Ancora bambino, seguì il padre, senatore della Serenissima, a Firenze, dove imparò ad apprezzare il toscano, che avrebbe preferito alla lingua della sua città natale per tutta la vita. Dal 1492 al 1494 studiò il greco a Messina con il famoso ellenista Costantino Lascaris. Vi si recò con l'amico e condiscepolo Angelo Gabriel, e arrivarono a Messina il 4 maggio 1492.
Restò per sempre memore del suo soggiorno siciliano, di cui gli rinnovavano il ricordo la corrispondenza con letterati messinesi, fra i quali il Maurolico e la presenza del fedelissimo amico e segretario Cola Bruno[2], che lo seguì a Venezia e gli stette vicino per tutta la vita.[3] Ritornato a Venezia, collaborò attivamente con Aldo Manuzio, inserendosi nel suo programma editoriale con la pubblicazione nel 1495 della grammatica greca di Costantino Lascaris (chiamata Erotemata) che egli e il suo compagno Angelo Gabriel avevano portato da Messina.[4] Il suo esordio letterario avvenne con la pubblicazione del dialogo latino De Aetna ad Angelum Gabrielem liber(da A. Manuzio, Venezia, 1495), dove raccontò del suo soggiorno siciliano e della sua ascensione sull'Etna.
Pietro Bembo si laureò all'Università degli Studi di Padova e fece ulteriori studi (1497-1499) alla corte di Ferrara, che allora gli Esteavevano trasformato in un importante centro letterario e musicale. Lì incontrò Ludovico Ariosto e iniziò ad elaborare Gli Asolani.
Ritratto di un cardinale, probabilmente Pietro Bembo, da alcuni attribuito a Tiziano ma in realtà opera di Jacopo Bassano[5] I poeti che lo ispirarono sempre nella sua poesia furono il Boccaccio e Petrarca. Amava far accompagnare le sue opere poetiche da fanciulle che suonavano il liuto, ed in un'occasione ebbe l'onore di avere Isabella d'Este come accompagnamento, a cui poi regalò una copia de Gli Asolani.
Tornò a Ferrara nel 1502, dove conobbe Lucrezia Borgia, all'epoca moglie di Alfonso d'Este, con la quale ebbe una relazione. In quel periodo Ferrara era in guerra con Venezia per il controllo del Polesine, di Rovigo e del mercato del sale ("guerra del sale"). Bembo fuggì nel 1505 quando la peste decimò la popolazione della città.
Fra 1506 e 1512 visse a Urbino, dove iniziò a scrivere una delle sue opere maggiori, le Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua(pubblicata solo nel 1525) e il suo lavoro assurse ai livelli più alti della sua carriera di umanista. Nel 1513 seguì a Roma Giulio de' Medici, futuro papa Clemente VII. A Roma papa Leone X lo volle suo segretario e in tale veste protesse molti letterati ed eruditi presenti nella capitale, fra cui Christophe de Longueil.
Risale a quegli anni una discussione con Giovan Francesco Pico sul problema dell'imitazione dei classici. Fu amico di Latino Giovenale Manetti e di Bernardo Cappello, che lo riconobbe esplicitamente come suo maestro ed è considerato il suo discepolo più importante[6].
Disegno di medaglia del 1539raffigurante Pietro Bembo Ritratto di Pietro Bembo, in Historia Veneta, 1729 Dopo la morte del pontefice nel 1521, si trasferì a Padova, dove abitava la sua amante Faustina Morosina della Torre, dalla quale ebbe anche un figlio. Durante il suo soggiorno a Padova pubblicò a Venezia le Prose della volgar lingua, 1525. Nel 1529 ritornò a Venezia dove ricoprì l'incarico di storiografo della Repubblica di Venezia e bibliotecario della Biblioteca Marciana.
Nel 1539 papa Paolo III lo creò cardinale diacono, con titolo di San Ciriaco in thermis e questo fatto lo riportò a Roma, dove, sempre nel 1539 fu ordinato sacerdote[7]. Rinunciò agli studi di letteratura classica, dedicandosi alla teologia e alla storia classica.
Nel 1541 fu nominato amministratore apostolico di Gubbio dove rimase fino al 1544 anno in cui divenne amministratore apostolico di Bergamo. La diocesi di Bergamo, più ricca di quella eugubina, gli consentiva di sanare i vari debiti che aveva contratto nel 1543 a seguito della ricca dote che aveva concesso alla figlia per il matrimonio. Ma un poco per l'età avanzata, e un poco per la gotta, non si recò mai a Bergamo ma nominò Vittore Soranzo, suo pupillo come vescovo coadiutore con diritto di successione[8].
Morì a Roma, all'età di 76 anni, il 18 gennaio 1547. Fu sepolto a Roma nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva; la sua lastra tombale è collocata sul pavimento, dietro l'altare maggiore. Anche nella Basilica di Sant'Antonio a Padova si trova un monumento dedicato al cardinale, opera del grande architetto Andrea Palladio.