Introduzione Paleontologia



Introduzione alla paleontologia

La paleontologia si occupa di studiare gli esseri viventi che hanno vissuto in diverse ere geologiche ed in particolare si basi su quattro fondamenti:

  • L'identità;
  • L'origine;
  • L'evoluzione;
  • L'ambiente.


I fossili

E’ interessante notare che gran parte di queste conclusioni sono legate alla parola “fossile”. Infatti, sebbene “fossile” sia un termine che deriva dal latino foedére che significa “scavare” e, pertanto, indica ciò che si ottiene o si recupera scavando, tuttavia oggi è largamente usato per indicare tutti quei resti di organismi animali e vegetali, vissuti nel passato, che si sono conservati grazie ad una serie di fenomeni chiamati “processi di fossilizzazione”.

Codex Leicester

Il codice viene acquistato da Bill Gates - fondatore microsoft - nel 1994 per per un importo complessivo di 31 milioni di dollari. Ad oggi è il libro più pagato della storia dell'umanità.

Il libro è composto da 72 facciate dove Leonardo scrive con la sua tipica grafia a specchio una serie di appunti e disegni particolareggiati e semplici abbozzi schizzati, che trattano lo studio sui movimenti terrestri: dalla astrologia al ricircolo delle acque, dallo studio dei moti a quelli dei fossili.  

Qualunque palentologo si è trovato, durante il proprio percorso di studi, ad affrontare come spiega Andrea Baucon, paleontologo che lavora presso il Naturtejo Geopark dell’UNESCO a Idanha-a-Nova, in Portogallo, gli scritti di Leonardo sono rivoluzionari perché danno una prospettiva completamente nuova alla storia della paleontologia ma in particolare a quella dello studio delle tracce fossili.
Ma che ci faceva Leonardo su e giù per gli Appennini? Correva l’anno 1483 quando Ludovico Sforza commissionò al genio del Rinascimento un cavallo di bronzo che secondo il progetto iniziale doveva essere di dimensioni imponenti. Fu così che Leonardo si trasferì a Milano. Alla fine pensarono bene di adoperare tutto quel metallo per farne armi e del cavallo si ebbe solo una versione in creta. In compenso l’artista si era fatto una serie di gite fuori porta dagli interessanti risvolti scientifici.

Leonardo da Vinci è senza ombra di dubbio colui che per primo si occupò in modo scientifico dello studio dei fossili ed è per questo che è universalmente indicato come "il papà" della paleontologia.   

Nei suoi studi troviamo annotazioni ben precise  relative allo studio delle conchiglie (definite anche nichi) e dei coralli 'fossilizzati' sopratutto in una zona ben precisa da lui identificata: l'Appennito Tosco-Emiliano.  


La pianura padana

Verso la fine del Pliocene l'Italia era in buona parte sommersa dall'acqua e le parti emerse formavano un arcipelago frastagliato di isole. L'area continentale era rappresentata da una ridotta fascia alpina e da una lunga e stretta penisola che dalla Liguria raggiungeva il Lazio meridionale, seguendo pressappoco l'attuale dorsale appenninica.

Il territorio nord-Italia, oggi pianura padana, nel periodo del pleistocene.


Il clima, che per buona parte del Pliocene era stato umido e caldo e aveva favorito lo sviluppo di lussureggianti foreste che ospitavano scimmie, gazzelle, tapiri, mastodonti e altri animali esotici, cambiò abbastanza repentinamente circa due milioni e mezzo di anni fa. 

Fu un grande mutamento climatico che portò a una fase glaciale, preludio di un sistema, il Quaternario, che sarà caratterizzato proprio da frequenti cambiamenti di temperatura e di umidità.

Un tempo si consideravano quattro o sei periodi freddi, i glaciali, alternati ad altrettanti periodi caldi, gli interglaciali. Oggi si preferisce parlare di oscillazioni climatiche, di cui le maggiori, fra fredde e calde, furono oltre una ventina dalla fine del Pliocene ad oggi.

Durante i periodi freddi, l'acqua evaporata dagli oceani e caduta sotto forma di neve durante l'inverno, non si scioglieva completamente d'estate e si accumulava allargando le grandi calotte polari e formando numerosi ghiacciai nei rilievi montani. Grandi quantità di acqua, sotto forma di neve e di ghiaccio, erano trattenute sulle terre emerse e non rifluivano negli oceani e quindi questi si ritiravano provocando la conseguente emersione di molte aree costiere (regressione marina). 

Queste aree, non dovendo più sostenere il peso della massa d'acqua, si sollevavano, mentre il contrario avveniva nelle aree dove si erano accumulate grandi masse di ghiaccio. Durante i periodi caldi lo scioglimento delle masse di ghiaccio faceva ritornare l'acqua agli oceani che si innalzavano, conquistando ampie fasce costiere (trasgressione marina). Anche in questi periodi avvenivano assestamenti con sollevamenti delle aree abbandonate dai ghiacci ed abbassamenti delle aree invase dal mare.

La Val Padana, alla fine del Pliocene, era un grande golfo marino che si insinuava fino al Piemonte. Le aree montuose alpine ed appenniniche che lo circondavano non erano sollevate come oggi, ma erano più basse, creando paesaggi ricchi di aree collinari. I fiumi che scendevano dai monti finivano direttamente in mare trasportando carogne di animali che abitavano le terre circostanti e le depositavano sul fondo del mare lungo fascia costiera, talvolta lagunare. Questo è il caso, ad esempio, di un elefante messo in luce dall'azione erosiva del fiume Panaro a nord-est di Savignano (Modena). Si tratta di una forma primitiva di Elefante meridionale, oggi restaurato, montato ed esposto al pubblico nel Museo dell'Elefante di Savignano.

Nei periodi glaciali il mare padano si ritirava lasciando emergere ampie aree di pianura, mentre in quelli interglaciali riconquistava le aree costiere più basse. I fiumi che sfociavano nel golfo padano, specialmente quando gli effetti erosivi erano maggiori, nei periodi glaciali, trasportavano e sedimentavano molto materiale asportato dalle aree montane. In concomitanza a questo processo sedimentario si è sommato l'effetto dell'orogenesi alpina, che ha interessato tutte le terre circostanti il golfo padano, sollevandole.

L'area padana, quindi, un po' alla volta si è riempita di sedimenti e, in parte, si è sollevata, arrivando a colmarsi. Questo è avvenuto in un tempo piuttosto lungo, in cui la continentalizzazione si è attuata a passi successivi. Nei periodi caldi le trasgressioni marine conquistavano sempre meno territorio continentale mentre nei periodi glaciali le aree emerse si ampliavano sempre di più. Questo ha fatto in modo, ad esempio, che la massima regressione marina dell'Ultimo Glaciale abbia lasciato scoperto tutto l'Alto Adriatico e il mare si sia ritirato quasi all'altezza di Ancona.

L'attuale fase climatica è considerata un interglaciale o un interstadiale temperato; il mare oggi ha raggiunto la quota più alta di tutto l'Olocene, il periodo in cui viviamo, che comprende gli ultimi dieci-dodicimila anni.

Tuttavia, Leonardo da Vinci osservò le tracce (icnofossili) lasciate da antichi organismi perforanti:


"Vedesi in nelle montagnie di Parma e Piacentia le moltitudini di nichi e coralli intarlati, ancora appiccicati alli sassi, de’ quali quand’io facevo il gran cavallo di Milano, me ne fu portato un gran sacco nella mia fabbrica da certi villani".-

Leicester Codex, folio 9r


Conseguentemente, le conchiglie pietrificate non potevano essere curiosità inorganiche, ma resti di antichi organismi. Con le parole di Leonardo:


"Ancora resta il vestigio del suo andamento sopra la scorza che lui già, a uso di tarlo sopra il legname, andò consumando [...]".

- Leicester Codex, folio 9v



Forse non tutti sanno che ...

Dal momento che, come oggi è noto, l’area occupata dalla Pianura Padana un tempo era un golfo, in queste zone è possibile rinvenire fossili marini. Al tempo di Leonardo però non era tutto così scontato. Anzitutto, qualera l’origine dei fossili? E poi, anche ammettendo che si trattasse dei resti di organismi marini, che cosa ci facevano lì? A dire il vero gli antichi Greci erano arrivati a capire che i fossili erano probabilmente i resti di animali e vegetali di epoche passate, ma come spesso accade l’uomo di certe cose poi si scorda.

Le teorie più accreditate ai tempi di Leonardo erano che si trattasse di formazioni inorganiche generatesi spontaneamente nella roccia oppure che fossero i resti degli animali morti durante il Diluvio Universale. Da Vinci, che non era proprio uno sprovveduto, non credeva né all’una né all’altra teoria e procedette con osservazioni sistematiche. 

La cosa che oggi ha sorpreso gli studiosi è stato leggere nel Codex descrizioni morfologiche e osservazioni sui fossili che avrebbero avuto un seguito solo nel XIX secolo. 

Nel manoscritto si leggono termini come ad esempio “tarlato” per descrivere l’aspetto dei coralli fossili che aveva trovato. Il termine è in analogia con ciò che fanno alcuni insetti negli alberi e suggerisce, come spiega Baucon nel suo articolo pubblicato su "Palaios", che Leonardo avesse ben chiara l’origine organica dei reperti esaminati. Il fatto che fossero stati rinvenuti vicino alle montagne andava inoltre a confermare le sue teorie sui movimenti di terra e acqua. Secondo lui, infatti, c'era una corrispondenza tra il microcosmo, rappresentato dall’uomo, e il macrocosmo, rappresentato dalla Terra. In questo modo acqua e complessi rocciosi si sarebbero comportati in modo analogo ai fluidi in circolo nel corpo umano.

Nonostante queste teorie ci possano far sorridere, Leonardo ebbe comunque l’intuizione di confrontare rocce e fossili diversi, descriverne la formazione basandosi su osservazioni e misure e intuire che la Terra non è un sistema statico e immutabile. Certo in quel periodo siamo ancora ben lontani dalla nascita del metodo sperimentale. Ma d’altra parte c’è chi ancora oggi nega la teoria dell’evoluzione...
(Fonte: Quarantadue)

Ma la prima interpretazione razionale dei fossili si deve a Leonardo Da Vinci (1452-1519). 

Queste le sue testuali parole: 

“Del diluvio e de’ nichi marini. –
Se tu dirai che li nichi, che per li confini d’Italia,
lontano da li mari, in tanta altezza si vegghino alli nostri tempi,
sia stato per causa del diluvio che lì li lasciò,
io ti rispondo, io ti rispondo che credendo tu che tal diluvio superasi il più alto 7 cubiti,
– come scrisse chi ‘l misurò –
tali nichi, che sempre stanno vicini a’ liti del mare,
dovean stare sopra tali montagne,
e non sì poco sopra la radice de’ monti,
per tutto a una medesima altezza, a suoli a suoli…”




Leonardo si interessò alla paleontologia e alla geologia sotto diversi punti di vista: dal rapporto tra micro e macrocosmo, dalla morfogenesi alla simbologia.

Le continue ricerche per comprendere al meglio i fenomeni dell’acqua e del mare, portarono Leonardo anche ai primi studi sui fossili, che gli permisero di teorizzare, da ateo qualera, l’impossibilità del Diluvio Universale, come ironicamente scrisse: 


«Della stoltizia e semplicità di quelli che vogliono 

che tali animali fussin in tal lochi distanti dai mari portati dal diluvio. 

Come altra setta d’ignoranti affermano la natura 

o i celi averli in tali lochi creati per infrussi celesti […] 

e se tu dirai che li nichi [le conchiglie] che per li confini d’Italia, 

lontano da li mari, in tanta altezza si vegghino alli nostri tempi, 

sia stato per causa del diluvio che lì li lasciò, 

io ti rispondo che credendo che tal diluvio superassi il più alto monte di 7 cubiti 

– come scrisse chi ‘l misurò! – 

tali nichi, che sempre stanno vicini a’ liti del mare, 

doveano stare sopra tali montagne, e non sì poco sopra la radice de’ monti».


Le sue osservazioni scientifiche e la sua opera grafica dimostrano una conoscenza non comune alla sua epoca di queste discipline, originata dall’osservazione diretta dei materiali; un caso esemplare è dato dalle considerazioni che Leonardo fece sulla natura organica dei fossili. 

Nei suoi scritti, infatti, definì «setta di ignoranti» coloro che ritenevano i fossili rinvenuti lontani dai mari prove del Diluvio Universale o conseguenza di oscuri influssi celesti. 

Leonardo per primo comprese come le cause fossero da ricercare piuttosto negli sconvolgimenti geologici e giunse persino ad anticipare una critica alle teorie bibliche sul Diluvio, dominanti fino al XVIII secolo, basandosi proprio sull’osservazione delle conchiglie fossili che aveva individuato anche nei pressi di Vinci e in altre località, dalla Toscana alla Lombardia.


Nel Manoacritto I, Leonardo rielabora la forma delle conchiglie fossili per il cartiglio dei "Nodi" della sua "Achademia"; nei disegni di Windsor studia le stratificazioni rocciose fino al loro dissolversi nelle cosmologie apocalittiche dei "Diluvi".

Reperti fossili rinvenuti nei territori dove Leonardo compì le sue osservazioni sono conservati ed esposti nel Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze (Sezione di Geologia e Paleontologia), nel Museo di Paleontologia di Empoli e nel Museo Ideale Leonardo Da Vinci a Vinci.

 

Citazioni sulI'sola d'Elba, Montalbano, Montelupo e Capraia Fiorentina

«Tutte l'uscite dell'acque, dal monte nel mare, portan con seco li sassi del monte in esso mare; e per la inondazion dell'acque marine contro alli sua monti, esse pietre eran rebuttate inverso il monte; e nell'andare e nel ritornare indirieto delle acque al mare le pietre insieme con quella tornavano, e, nel ritornare, li angoli loro insieme si percoteano, e, come parte men resistente alle percosse, si consumavano e facean le pietre sanza angoli, in figura ritonda; come ne' liti dell'Elba si dimostra; e quelle rimanean più grosse, che manco s'eran remosse dal lor nascimento; e così quella si facea minore che più si rimovea dal predetto loco, in modo che nel procedere si converte in ghiara minuta, e poi in rena, e in ultimo in fango. Di poi che 'l mare si discostò dalli predetti monti, la salsedine lasciata del mare, con altro omore della terra, à fatto una collegazione a essa ghiara e rena, che la ghiara in sasso, e la rena in tufo s'è convertita.

[…] E di questo si vede l'esemplo in Adda, 

all'uscire de' monti di Como, e in Tesino [Ticino], 

Adige, Oglio e Adriano dell'Alpi de' Tedeschi; 

e 'l simile d'Arno, del monte Albano, intorno a Monte Lupo e Capraia, 

dove li sassi grandissimi son tutti di ghiaia congelata, di diverse pietre e colori.

Quella cosa, che sarà più lieve, 

più remota fia portata dalli fiumi dal loco, 

onde le sue acque la tolsono; 

e così la più grave fia per minore spazio remossa dal loco, onde si divise[…]» 

(f. 6A-31v).

 

Citazioni di Golfolina, Montelupo, Castelfiorentino e Collegonzi


«E se tu dirai che li nichi son portati dall'onde, 

essendo voti e morti, io dico che, dove andava li morti, 

poco si rimovevano da vivi, e in queste montagnie sono trovati tutti i vivi che si cognoscano, 

che sono colli gusci appaiati, 

e sono in un filo dove non è nessun de' morti, 

e poco più alto è trovato dove eran gittati dall'onde tutti li morti colle loro scorze separate.

A presso a dove li fiumi cascavano in mare in gran profondità, 

come Arno, che cadea della Golfolina a presso a Monte Lupo, 

e quivi lasciava la ghiara, 

la quale ancor si vede che s'è insieme ricongielata, 

e di pietre di varie paesi, 

nature e colori e durezze se n'è fatto una sola congelazione; 

e poco più oltre la congelazione della rena s'è fatto tufo, 

dov'ella s'aggirava inverso Castel Fiorentino; 

più oltre si scaricava il fango, 

nel quale abitava i nichi, 

il quale s'inalzava a gradi, secondo che le piene d'Arno torbido in quel mare versava, 

e di tempo in tempo s' inalzava il fondo al mare, 

il quale a gradi producea essi nichi, come si mostra nel taglio di Colle Gonzoli, deripato dal fiume d'Arno, 

che il suo piede consuma: 

nel qual taglio si vede manifestamente li predetti gradi de' nichi in fango azzurreggiante, 

e vi si trova di varie cose marine […]» 

(f. 8B-8v).

 

Citazioni di Golfolina, Montalbano, Firenze, Prato, Pistoia, Serravalle, Arezzo, Girone, Casentino, Pratomagno, San Miniato al Tedesco e Valdinievole


«Dove le vallate non ricievono le acque salse del mare, 

quivi i nichi mai non si vidono: come manifesto si vede nella gran valle d'Arno, 

disopra alla Golfolina, 

sasso per antico unito co' Monte Albano in forma d'altissima argine; 

tenea ringorgato tal fiume in modo che prima che versassi nel mare, 

il quale era dopo a' piedi di tal sasso, 

componea 2 grandi laghi, de' quali el primo è dove oggi si vede fruire la città di Firenze, insieme con Prato e Pistoja;

 e Monte Albano seguiva il resto dell'argine insin dove oggi è posto Serravalle; 

del Valdarno di sopra insino Arezzo si creava uno secondo lago, 

il quale nell'antidetto lago versava le sue acque, chiuso circa dove oggi si vede Girone, 

e occupava tutta la detta valle di sopra per ispazio di 40 miglia di lunghezza; 

questa valle riceve sopra il suo fondo tutta la terra porta[ta] dall'acque di quella intorbidata, 

la quale ancora si vede a' piedi di Prato Magno restare altissima, 

dove li fiumi non l'àn consumata; e infra essa terra si vede le profonde segature de' fiumi che quivi son passati, 

li quali discendano dal gran monte di Prato Magno: 

nelle quali segature non si vede vestigio alcuno di nichi o di terra (azzurrignia come) marina;

 questo lago si congiugnea col laco di Perugia…

Gran somma di nichi si vede, 

dove li fiumi versano in mare, 

perché in tali siti l'acque non sono tante salse, 

per la mistion dell'acque dolci che con quelle s'uniscano; 

e 'l segnio di ciò si vede dove per antico li monti Appennini versavano li lor fiumi nel mare Adriano, 

li quali in gran parte mostrano in fra li monti gran somma di nichi insieme coll'azzurrigno terren di mare; 

e tutti li sassi, che di tal loco si cavano, son pieni di nichi.

Il medesimo si conoscie avere fatto Arno, 

quando cadea del sasso della Golfolina nel mare, 

che dopo quella non troppo basso si trovava, 

perché a quelli tempi superava l'altezza di San Miniato al Tedesco, 

perché nelle somme altezze di quello si vede le ripe piene di nichi e ostrighe dentro alle sue mura; 

non si distesono li nichi inverso Val di Nievole perché l'acque dolci d'Arno in là non si astendeano[…]» 

(f. 9A – 9r).




Citazione di Castelfiorentino e Casentino

«Truovasi sotto terra, 

e sotto li profondi cavamenti de' lastroni, 

li legniami delle travi lavorati, fatti già neri, 

li quali furon trovati a mio tempo in quel di Castel Fiorentino; 

e questi in tal loco profondorono, 

prima che la lita gittata dall'Arno nel mare, 

che quivi copria, fussi abondata in tant'altezza, 

e che le pianure del Casentino fussin tante abbassate del terren che Arno al continuo di lì sgombra [...]» 

(f . 9B – 9v).

fonte: Alessandro Vezzosi e Antonella Sabato