Ricordiamo per inciso che proprio nel 1475 nacque
Giovanni secondo figlio di Lorenzo il Magnifico e Clarice Orsini.
Diventerà papa nel 1513 con il nome di Leone X e sarà uno dei papi
più importanti per la storia degli scacchi.
Era infatti un grande
appassionato del nostro gioco: negli otto anni del suo pontificato ne
favorì la diffusione, e, così come protesse letterati e poeti, fu
un importante mecenate per i giocatori di scacchi dell'epoca.
Anzi, la passione per il gioco degli scacchi di
Leone X fu tale da essere segnalata perfino nell'opera "Storia
dei Papi" del Pastor (!). Inoltre in un volume della fine del
1500 si trova questa citazione:
"Papa Leone era solito
abbandonare la partita quando era inferiore; ciò mostra la sua
abilità, poiché egli vedeva molto tempo prima ciò che doveva
accadere; e quando si accorgeva che la sua situazione era disperata,
seguendo il responso di Ippocrate che diceva non esservi rimedio per
i disperati, si arrendeva e confessava vinto."
Torniamo a Leonardo. Se non
imparò a giocare da ragazzino e se proprio non imparò neppure alla
corte del Magnifico, di certo al più tardi apprese il gioco quando
nel 1482 si presentò a Ludovico il Moro e rimase alla sua corte a
Milano.
Che il gioco degli scacchi
fosse molto diffuso specie tra i nobili, il clero ed i ceti più
ricchi è storicamente documentato; una delle ragioni principali era
che gli scacchi permettevano di passare il tempo (oggi diremmo ‘il
tempo libero’) anche perché va ricordato che all'epoca non c’era
la radio, non c’era la televisione (e non c’era neppure il
campionato di calcio…).
Un’altra ragione era che la partita a
scacchi permetteva a uomini e donne di stare insieme senza creare
‘pettegolezzi’ ed era quindi una buona occasione di
corteggiamento: e questo accadeva anche alla corte dei Visconti e
degli Sforza, dove gli scacchi erano molto diffusi e giocati dallo
stesso Ludovico il Moro.
Da documenti conservati
nell'Archivio Storico Lombardo si sa infatti che nel 1472 Ludovico,
allora ventenne, perse ben 30 ducati con Galeazzo Maria Sforza;
questi successivamente, nel 1475, trovò un ben più ostico
avversario nel conte Galeotto Belgioioso, tanto che seccato per le
continue sconfitte decise di allontanarlo da Milano. In una lettera
(10 settembre 1475, pure conservata nell'Archivio Storico Lombardo)
Galeazzo Maria scrive da Villanova al visconte Ascanio Maria Sforza:
“El conte Galeoto a Belzoioso ne ha richiesto licenza de venire a
casa et non sapemo pensare la ragione se non è perché el voglia
portare ad casa li dinari chel ha vinto ad zocare a scachi …. Et
guardatevi bene dal zocare a scachi con lui perché è fatto così
bon magistro che vincerà ad ogni partito”
.
E ancora c’è un altro
scritto di Galeazzo del novembre 1475: una missiva ad un artigiano
con cui ordina una nuova scacchiera avvertendo che la voleva “intarsiata e non dipinta” perché la pittura se ne andava troppo
presto.
Possiamo dire pertanto che
se Leonardo ancora non sapeva giocare a scacchi sicuramente imparò a
Milano; del resto, come ha scritto Marco Malvaldi nel suo libro ‘La
misura dell’uomo’ (Giunti Editore) “Leonardo non smette mai di
imparare, non c’è un momento della sua vita in cui si accontenta
di quello che sa.”
E a proposito del suo
soggiorno milanese, in un documento di fine XV secolo si legge che
“Leonardo giocò a scacchi con l’Ambasciatore francese adottando
una nuova tattica, il sacrificio del Pedone d’Alfiere di Donna”
(dopo aver iniziato la partita con la spinta di due passi del Pedone
di fronte alla Donna): in pratica un esempio, forse il primo, della
apertura che sarà poi conosciuta come “Gambetto di Donna
(accettato)”; purtroppo non ci sono altri dettagli, né sul nome
dell’Ambasciatore né su quando venne giocata la partita.
Leonardo, come si sa, era
anche un innovatore: probabilmente aveva già avuto notizia delle
novità apportate nel gioco, soprattutto relative al movimento della
Regina e dell’Alfiere che sarebbero state adottate definitivamente
da lì a pochi anni.
Così possiamo ritenere che
abbia pensato a sua volta ad una modifica migliorativa ed abbia
‘ideato’ il movimento dell’arrocco (che allora non si chiamava
ancora così).
Lo possiamo dedurre dal
fatto che nei Fogli di Windsor datati tra il 1484 e il 1487 c’è il
disegno di un suo “rebus” scacchistico (foglio 12692r). E come
scrive ancora Malvaldi “Il disegno per Leonardo è pura espressione
intellettuale, una astrazione in grado di rappresentare una teoria.
/…/ i suoi disegni servono a far vedere come le cose funzionano,
non che aspetto abbiano.”
La soluzione del “rebus”
scacchistico di Leonardo è “io arroccherò”, con l’idea di
effettuare il particolare movimento di Re e Torre in una mossa sola e
non in due come avveniva all’epoca, quando per togliere il Re dal
centro della scacchiera e portare in gioco la Torre c’era la
possibilità di una combinazione di due mosse successive, come
riportato dallo spagnolo Lucena nel suo testo del 1496 o 1497: prima
si muoveva la Torre, poi alla mossa immediatamente seguente il Re
aveva la facoltà di scavalcarla muovendo di due caselle. Ma si
trattava di due mosse e non di una sola come avviene oggi con quello
che possiamo definire l’arrocco ‘moderno’.
Probabilmente però l’idea
di Leonardo anticipava troppo i tempi per la corte milanese, abituata
al gioco classico dell’epoca, e così non trovò riscontro.
Ma sicuramente le cose
cambiarono quando, dopo la fuga da Milano, Leonardo si rifugiò
insieme a fra’ Luca Pacioli presso la corte di Isabella d’Este a
Mantova.
Pacioli era giunto alla
corte del Moro da non molto tempo e aveva subito legato con Leonardo:
tra i due era nata collaborazione e amicizia; Pacioli, noto
matematico, era anche uno scacchista e aveva raccolto molti
‘partiti’, come si chiamavano allora: oggi li definiremmo
problemi, finali, combinazioni di centro partita. Di certo non aveva
in mente di farne un libro, ma presto cambierà idea e in altri suoi
testi accennerà alla realizzazione del volumetto scacchistico.
Abbandonata Milano, Pacioli
si aggregò a Leonardo ed entrambi vennero accolti presso la corte di
Isabella d’Este a Mantova dove soggiornarono tra il 1499 e il 1503.
Leonardo fu accolto poiché
Isabella sperava le facesse il ritratto, Pacioli probabilmente come
suo amico, ma ovviamente si riteneva obbligato a trovare un modo per
sdebitarsi.
Diciamo subito che la corte
di Isabella era all'epoca il fulcro europeo degli scacchi. Isabella
era grande appassionata: accoglieva e ospitava i giocatori, faceva
venire i migliori “professionisti” dalla Spagna per giocarci e
prendere lezioni e si faceva intagliare i pezzi dai Maestri
Campionesi (a volte “tirando sul prezzo”, come mostrano alcune
lettere pervenuteci). Tutto questo è storicamente documentato.
Qui Leonardo e Pacioli
trovarono una “atmosfera scacchistica” molto intensa e ricca.
Luca Pacioli, che aveva con
sé la sua raccolta di ‘partiti’, pensò che un modo per
sdebitarsi con Isabella potesse essere farne un libretto da
realizzare con il preciso scopo di farne omaggio alla stessa
Isabella: così la raccolta presto si trasformò nel celeberrimo
De Ludo Scachorum.
Era necessario però rifare
i diagrammi ed ecco il primo intervento per la realizzazione del
libro da parte di Leonardo, che disegnò anche dei pezzi di nuova
concezione, molto più leggeri e artistici di quelli allora in voga.
Possiamo notare che per la realizzazione dei pezzi del gioco
di nuova concezione sarebbe stato necessario l’uso del tornio,
macchina pure di nuova concezione (i primi esemplari risalivano ad
una quarantina di anni prima) e che anche Leonardo aveva disegnato,
ma che non era ancora pronta allo scopo. Ancora
una volta Leonardo anticipava (troppo) i tempi …
I pezzi erano proporzionati in base al rapporto
aureo; essi si rifanno, per il Pedone, a forme note, per la Regina,
ad una forma precisa già utilizzata da Leonardo, nel disegno di una
fonte (in studi e disegni di fontane, Codice Atlantico, foll. 293r-b
e 212r-a. E c. 1497-1500, Ms. I di Madrid), per le figure di Alfiere,
Cavallo, Torre e Re, e per la loro complessiva raffinata snellezza,
ai decori della Domus Aurea, Candelabra e Grottesche, scoperte sul
finire del 1400 e note al Maestro.
Del libro però presto non
ci fu più traccia e si pensò fosse andato perduto, fino a che,
come noto, è stato casualmente ritrovato pochi giorni prima
del Natale del 2006 presso la Biblioteca della
Fondazione Palazzo Coronini Cronberg di Gorizia. Praticamente
quasi mezzo millennio dopo che era stato realizzato!
Le analisi sul manoscritto
ritrovato hanno dimostrato che Leonardo non solo disegnò i pezzi di
nuova concezione, ma realizzò anche molti dei “diagrammi” con le
varie posizioni (lo si evince dal fatto che sono disegnati con la
mano sinistra e che le scacchiere sono realizzate senza utilizzo del
righello).
Per quanto riguarda
l’aspetto del gioco ‘vivo’, dobbiamo tornare al rebus nei Fogli
di Windsor. Dato che alla corte di Isabella già si giocava con le
nuove regole portate dai “professionisti” che la frequentavano,
regole tese a velocizzare il gioco (Donna e Alfiere avevano esteso
infatti il proprio movimento, l’Alfiere potendo muovere lungo tutta
la diagonale, la Donna lungo tutte le traverse, colonne e diagonali)
e dato che, come abbiamo detto, fino a quel momento quello che oggi
chiamiamo arrocco veniva effettuato con due mosse consecutive
successive, si può pensare che Leonardo abbia proposto
l’innovazione, ovvero la nuova mossa, definita arrocco, effettuata
in un colpo solo, da lui ipotizzata già una quindicina di anni
prima. Possiamo ritenere che l’idea piacque e venne subito
accettata, sia perché come abbiamo detto rispondeva allo scopo di
velocizzare il gioco, sia soprattutto perché costituiva una specie
di ‘antidoto’ al nuovo potere assunto dalla Donna o, per
adeguarci all'epoca, dalla Regina.
Ovvio che una volta
accettata l’idea presso la corte di Isabella, poi la diffusione
dell’arrocco (in una mossa) in tutta Europa da parte dei
“professionisti” avvenne di conseguenza.
Maggiori dettagli sul libro di Pacioli e sugli
interventi realizzati da Leonardo sul sito dell’architetto
milanese Franco Rocco che ha effettuato approfonditi studi sull'argomento .