Ho osservato in televisione il primo maggio del 2019, sfogliare il Codice Atlantico.
Estrarre un grosso raccoglitore dalla gigantesca cassaforte della veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano, posarlo su un ripiano, aprirlo e mostrare alcuni di quei grandi fogli che si usavano in quell’epoca per le carte geografiche. Di ottima carta, bianchi, larghi circa 64 centimetri per 43, ciascuno dei quali presentava, incollati, uno o più disegni, scritti, progetti o elaborati di Leonardo da Vinci.
Il presentatore, con una specie di saio, i guanti ed una fluente barba bianca (alla Leonardo!) li trattava con grande cura. 1119 fogli che mostravano opere scritte o disegnate dal genio in un periodo che va dal 1478 fino alla sua morte nei 1519. La più grande delle raccolte, definite Codex (codici), che erano state fatte dai suoi eredi e da coloro, come Pompeo Leoni scultore e medaglista italiano, che ne erano venuti in possesso. Li avevano smembrati e suddivisi probabilmente per materie, o per periodi.
C’è chi sostiene che il Leoni lo avesse fatto per ricavare un maggiore introito dalla loro vendita. Lunghi e controversi i passaggi di mano di quelle opere di Leonardo.
Il Codice Atlantico è la raccolta più grande dei suoi elaborati, esistente, e la più varia di materie. Restaurato più volte recentemente e suddiviso in modo diverso. Per fortuna oltre al Codice Atlantico sono ancora in Italia, il Codice Resta ed il Codice Trivulziano (sempre alla Ambrosiana di Milano), il Codice sul volo degli uccelli nella Biblioteca Reale di Torino e il Codice Vaticano-Urbinate 1270 nella Biblioteca Lateranense. Sarebbe fondamentale se venissero tutti digitalizzati, per poterli ingrandire ed analizzare, per studiarne i dettagli e, con le tecniche attuali, scoprire ancora cose nuove su di lui.
Marco Biffani
7/5/2109