Introduzione Fisica



La fisica (dal greco phýsis = natura) è la scienza che studia i fenomeni naturali e tra i suoi scopi vi è quello di stabilire le relazioni attraverso le leggi matematiche.

Una delle metodologie fondamentali della fisica è avvalersi di modelli e metodi che siano riproducibili e quindi ripetibili al fine di confutarne la veridicità, le relazioni e le dinamiche. 

Rifacendosi alle teorie Galileiane (Galileo Galilei), gli studi analizzano e indagano attraverso lo studio delle ipotesi che se confermate diventano teorie universali.


2400 al 390 a.C. Egitto

Negli antichi papiri egizi, si possono individuare le forme di un primitivo "metodo scientifico". In particolare, nelle descrizioni di interventi di chirurgia, che indicano anamnesi, diagnosi e terapia chirurgica dedicata, dalla preparazione del paziente, alla strumentazione, alla tecnica operatoria, fino alla prognosi e al decorso post-operatorio. Inoltre, già in tempi antichissimi, gli Egizi conducevano metodiche previsioni sui raccolti di grano in relazione al livello di piena delle acque del Nilo.

Nell'antica civiltà egiziana, però, la medicina generale era intesa in modo diverso: i papiri di terapia medica illustrano pratiche legate a superstizioni e credenze religiose, piuttosto che al collegamento diretto fra causa delle malattie e effetto delle cure.

Perciò, benché gli antichi Egizi applicassero criteri scientifici nell'ambito di alcune discipline, si può escludere che ne avessero codificato il metodo.


630 al 500 a.C., Grecia

Con i primi pensatori greci assistiamo all'uscita da una cultura improntata al mito e alla comparsa, per la prima volta, di un metodo di pensiero improntato all'uso della ragione, dell'argomentazione, in contrapposizione al dogmatismo religioso. 

È la nascita della filosofia, progenitrice della scienza fu un artefice Talete, fu famoso come scienziato, considerato uno dei sette saggi dell'antichità.
I filosofi cercavano un sapere che fosse innegabile, un sapere definito"solido" nella basi che il tempo mai avrebbe scalfitto. Una conoscenza assoluta che doveva avere nelle basi:

  • Il sapere (sophia);
  • La ragione (logos);
  • La verità (alétheia);
  • La scienza (epistéme).


Proprio fra questi cardini fondanti del pensiero, Aristotele affermava la teoria dei rapporti e l'analisi dell'argomentazione ragionata quale frutto indispensabile del seme dell'intelligenza, citando la teoria del sillogismo:


«Ebbene, sillogismo è un discorso nel quale, poste alcune cose, qualcosa di diverso da ciò che è stabilito segue di necessità in forza di ciò che è stabilito. 

Vi è dunque una dimostrazione quando il sillogismo proceda da asserzioni vere e prime, oppure da asserzioni tali che hanno assunto il principio della conoscenza ad esse relativa in forza di certe asserzioni vere e prime; dialettico è invece il sillogismo che argomenta da opinioni notevoli.»


Secondo il principio Aristotelico occorre essere consapevoli del proprio pensiero non significa avere dei dati, ma è saperli elaborare.

Vi sono i possessori della scienza che conoscono le cause (il "perché") e coloro che conoscono solo i fatti senza aver conoscenza delle loro cause (il "che"). La scienza, per Aristotele, è sempre conoscenza delle cause. 

Il sillogismo è una costruzione logica formata da una o più proposizioni precedenti (se...) dalle quale nasce una proposizione conseguente (allora...). 

Il sillogismo di per sé non dà garanzia di verità, ma serve solo a trarre conclusioni coerenti con le verità "vere e prime". 

 

Archimede (287-212 a.C.).

Nello studio delle sue opere fu influenzato dal pensiero Aristotelico dal quale trasse spirazione per ipotizzare le nuove teorie della matematica applicare alla fisica (principio di Archimede).


«Un corpo immerso (totalmente o parzialmente) in un fluido riceve una spinta (detta forza di galleggiamento) verticale (dal basso verso l'alto) di intensità pari al peso di una massa di fluido di volume uguale a quella della parte immersa del corpo.

Il punto di applicazione della forza di Archimede, detto centro di spinta, si trova sulla stessa linea di gradiente della pressione su cui sarebbe il centro di massa della porzione di fluido che si troverebbe ad occupare lo spazio in realtà occupato dalla parte immersa del corpo.»


Impegnò a lungo gli studiosi della prima età moderna, fra cui lo stesso Galileo, e costituì un importante stimolo alla rinascita scientifica moderna.


Il metodo induttivo

Partiamo, come prima cosa, dalla definizione di metodo induttivo partendo da quella di induzione (dal latino in-ducere): termine che significa letteralmente “chiamare a sé” e che dunque rappresenta un procedimento che partendo da singoli casi particolari cerca di stabilire una legge universale (in undal particolare al generale).

Si tratta quindi di un metodo che cerca di portare ad una affermazione generale a partire dall’osservazione di alcuni fatti “piccoli”. Per questo, il suddetto metodo d’indagine induttivo è alla base delle scienze legate all’osservazione. Non è un mistero che già il filosofo greco Aristotele – nella Grecia antica – attribuisca a Socrate il merito di aver scoperto il metodo induttivo. Poi, nel XVII secolo questo metodo d’indagine viene rivalutato da Francesco Bacone, contribuendo alla nascita della ricerca scientifica moderna, basata sull’osservazione e sulla sperimentazione.


Alcuni esempi di ragionamento induttivo:

  • Ho pescato nel lago un pesce piccolo;
  • Ho pescato ancora nel lago un pesce piccolo;
  • Continuo a pescare in questo lago pesci piccoli.
Relazione: se pesco sempre pesci piccoli è perché nel lago vi sono SOLO pesci piccoli.

  • Ho visto un pipistrello volare sulla testa di Katia;
  • Ho visto un altro pipistrello sulla testa di Manuel;
  • Mi sembrava un pipistrello quello che stava volando sulla testa di Erica.
Relazione: TUTTI i pipistrelli volano sulle TESTE delle persone!

Come si è visto ci sono due espressioni, utilizzate nell’ultima affermazione (è ragionevole pensare e probabilmente) che rendono non definitivo il risultato. Questo avviene perché il metodo induttivo è alla base del metodo sperimentale nel quale soltanto la raccolta dei dati e la ripetizione dell’esperimento nel corso del tempo consente di avvalorare in senso generale il risultato ottenuto.


Applicazione dei principi del metodo induttivo

 

Il metodo deduttivo

La forma classica di ragionamento deduttivo, studiata già da Aristotele, è il sillogismo, nel quale la deduzione si configura come un ragionamento che discende da premesse universali a conclusioni particolari. Aristotele distingue peraltro la deduzione in generale dalla dimostrazione (o deduzione perfetta), la quale consiste in un sillogismo le cui premesse sono vere, e pertanto vera sarà anche la conclusione. Ma una deduzione rimane valida anche nel caso si tratti di un sillogismo le cui premesse non sono vere, ma solamente probabili: è proprio infatti della deduzione il carattere di rigorosa necessità per cui si passa da una premessa a una conclusione. 

Nella logica, successivamente ad Aristotele, si sono prese peraltro in esame altre e numerose forme di procedimento deduttivo differenti dal sillogismo, studiando il problema della deduzione nelle sue strutture formali, prescindendo cioè dai contenuti delle proposizioni che compongono i ragionamenti deduttivi.

Nella storia della filosofia la deduzione ha avuto un rilievo centrale soprattutto nella tradizione del razionalismo moderno, nella quale è stata interpretata sul modello della matematica, piuttosto che su quello della sillogistica aristotelica.

Applicazione dei principi del metodo deduttivo

 

1609 

Galileo mostra ai senatori veneti la sua nuova invenzione: il cannocchiale. I senatori, si rendono conto che possono vedere, dal campanile di San Marco a Venezia dove si trovano, la città di Padova, (che si trova in linea d'aria attuale a circa 35 km). Galileo pubblica un libro sulle sue scoperte astronomiche: il “Sidereus Nuncius”(Messaggero delle stelle).


1611, 16 luglio
Dall’Epistolario Lettera a Gallanzone Gallanzoni, Galileo descrive cosa vede nel cielo:


[...] Hora, per dire brevemente quanto mi occorre, dico che io ho sin qui, insieme con tutti i filosofi et astronomi passati, chiamo Luna quel corpo, il quale, sendo per natura atto a ricevere et ritenere, senza trasmettere, il lume del sole, alla vista del quale egli è continuamente esposto, si rende per tanto a noi visibile sotto diverse figure, secondo che egli è in varie posizioni situato rispetto al sole et noi, le quali figure, hora falcate, hora semicircolari et hora rotonde, ci rendono sicuri, quello essere globoso et sferico: et di questo tale corpo, dal sole illuminato et da noi veduto, hanno sin qui la maggior parte de i filosofi creduto che la superficie fosse pulita, tersa et assolutissimamente sferica; et se alcuno disse di credere che ella fusse aspra e montuosa, fu reputato parlare più presto favolosamente che filosoficamente. 


Hora io di questo istesso corpo lunare, da noi veduto mediante la illuminazione del sole, asseriscoil primo, non più per immaginazione, ma per sensata esperienza et per necessaria dimostrazione, che egli è di superficie piena di innumerabili cavità et eminenze, tanto rilevate che di gran lunga superano le terrene montuosità. [...] ma vengono, in sustanza del loro discorso a dire che la Luna sia hora non solamente quel globo che noi sensatamente con gl’occhi veggiamo et sin qui havevamo veduto, ma che, oltre al veduto da gl’huomini, vi è intorno un certo ambiente trasparentissimo, a guisa di cristallo o diamante, totalmente impercettibile dai sensi nostri, il quale, empiendo tutte le cavità et cimando le più alte eminenze lunari, cinge intorno quel primo et visibile corpo, et termina in una liscia et pulitissima superficie sferica, non vietando intanto il passaggio ai raggi del sole, sì che eglino possino nelle sommerse momtuosità riflettere et dalle parti avesse causare le proiezione delle ombre, rendendo intanto l’antica luna il senso nostro suggetta [...] pur che con pari cortesia sia permesso a me dire che questo cristallo ha nella sua superficie grandissimo numero di montagne immense, le quali, per essere di sustanza diafana, non possono da noi essere vedute et così potrò io figurarmi un’altra Luna dieci volte più montuosa della prima. [...]



Il tubo di legno, il cannocchiale IV.19 ricoperto di pelle rossa contiene una lente obiettiva biconvessa e un oculare piano concavo. Ha capacità di ingrandimento di 14 volte. La lente obiettiva di questo cannocchiale ha distanza focale di 1330mm e apertura utile di 26mm. Il cannocchiale di Galileo è mostrato, tra le mani dello scienziato, nella porzione di soffitto della Galleria degli Uffizi, dedicata alla Matematica.

 
 

Gli studi di Leonardo da Vinci


Cinquecento anni prima che il metodo scientifico venisse definito e descritto formalmente da filosofi e scienziati, Leonardo da Vinci elaborò e mise in pratica le sue caratteristiche essenziali: 


  • Studio della letteratura disponibile;
  • Osservazioni sistematiche;
  • Sperimentazione;
  • Misurazioni accurate e ripetute;
  • Formulazione di modelli teorici e frequenti tentativi di generalizzazione matematica.


Come Galileo, Newton e le successive generazioni di scienziati, anche Leonardo riteneva che l’universo fisico fosse intrinsecamente ordinato e che fosse possibile comprendere razionalmente ed esprimere i rapporti causali che lo caratterizzano in maniera matematica.

Aveva capito perfettamente il concetto "dell'allineamento" dei pianeti e secondo i suoi studi, la forza e l'energia che essi sviluppavano si intersecava con l'energia stesa presente nello spazio    (sistema solare). 

Leonardo sapeva che tutto si muoveva secondo principi matematici definiti e che la sospensione il galleggiamento delle masse, che oggi chiamiamo pianeti, seguiva una regola di forze interconnesse che gli consentivano sia il movimento che la sospensione equidistante tra loro.

Leonardo era ben consapevole del ruolo fondamentale che la matematica assume nella formulazione delle idee scientifiche e nella registrazione e valutazione dei dati sperimentali. Tuttavia, il modo con cui Leonardo si accostava alla matematica era quello di uno scienziato, non di un matematico: egli intendeva utilizzare questa disciplina semplicemente per fornire coerenza e rigore alle descrizioni delle sue osservazioni scientifiche.
Leonardo utilizzò le sue abilità di visualizzazione e il suo grande intuito per sperimentare nuove tecniche che preannunciavano branche della matematica che sarebbero state sviluppate soltanto secoli dopo, segnatamente la topologia e, soprattutto, la teoria della complessità.

Anche Leonardo (1452–1519), nel Rinascimento, si appropriò del pensiero ipotetico-deduttivo aristotelico, respingendo al contempo il principio di autorità. Il suo contributo a porre le basi del metodo scientifico fu notevole, anche se alla fine gran parte dei suoi scritti andarono persi.
Egli anticipò alcuni aspetti della metodologia che venne più tardi concepita nel 1600 da Galileo Galilei: a titolo di esempio ci sono i suoi progetti ingegneristici, le macchine di Leonardo, i suoi disegni del corpo umano, gli studi sulla prospettiva.
In particolare, Leonardo affermò l'importanza di due fattori:

  • La sperimentazione empirica, perché non basta ragionare e fare uso dei concetti se poi non li si mette alla prova; 
  • La dimostrazione matematica, come garanzia di rigore logico:

«Nissuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, s'essa non passa per le matematiche dimostrazioni.»

Secondo Leonardo, infatti, ogni fenomeno in natura avviene secondo leggi razionali che vivono al di sotto delle sue manifestazioni esteriori.