1609
Galileo mostra ai senatori veneti la sua nuova invenzione: il cannocchiale. I senatori, si rendono conto che possono vedere, dal campanile di San Marco a Venezia dove si trovano, la città di Padova, (che si trova in linea d'aria attuale a circa 35 km). Galileo pubblica un libro sulle sue scoperte astronomiche: il “Sidereus Nuncius”(Messaggero delle stelle).
1611, 16 luglio
Dall’Epistolario Lettera a Gallanzone Gallanzoni, Galileo descrive cosa vede nel cielo:
[...] Hora, per dire brevemente quanto mi occorre, dico che io ho sin qui, insieme con tutti i filosofi et astronomi passati, chiamo Luna quel corpo, il quale, sendo per natura atto a ricevere et ritenere, senza trasmettere, il lume del sole, alla vista del quale egli è continuamente esposto, si rende per tanto a noi visibile sotto diverse figure, secondo che egli è in varie posizioni situato rispetto al sole et noi, le quali figure, hora falcate, hora semicircolari et hora rotonde, ci rendono sicuri, quello essere globoso et sferico: et di questo tale corpo, dal sole illuminato et da noi veduto, hanno sin qui la maggior parte de i filosofi creduto che la superficie fosse pulita, tersa et assolutissimamente sferica; et se alcuno disse di credere che ella fusse aspra e montuosa, fu reputato parlare più presto favolosamente che filosoficamente.
Hora io di questo istesso corpo lunare, da noi veduto mediante la illuminazione del sole, asseriscoil primo, non più per immaginazione, ma per sensata esperienza et per necessaria dimostrazione, che egli è di superficie piena di innumerabili cavità et eminenze, tanto rilevate che di gran lunga superano le terrene montuosità. [...] ma vengono, in sustanza del loro discorso a dire che la Luna sia hora non solamente quel globo che noi sensatamente con gl’occhi veggiamo et sin qui havevamo veduto, ma che, oltre al veduto da gl’huomini, vi è intorno un certo ambiente trasparentissimo, a guisa di cristallo o diamante, totalmente impercettibile dai sensi nostri, il quale, empiendo tutte le cavità et cimando le più alte eminenze lunari, cinge intorno quel primo et visibile corpo, et termina in una liscia et pulitissima superficie sferica, non vietando intanto il passaggio ai raggi del sole, sì che eglino possino nelle sommerse momtuosità riflettere et dalle parti avesse causare le proiezione delle ombre, rendendo intanto l’antica luna il senso nostro suggetta [...] pur che con pari cortesia sia permesso a me dire che questo cristallo ha nella sua superficie grandissimo numero di montagne immense, le quali, per essere di sustanza diafana, non possono da noi essere vedute et così potrò io figurarmi un’altra Luna dieci volte più montuosa della prima. [...]